Paesi dell’est  2020

Prologo

Eccoci qui. Finalmente la mia Enterprise lascia il porto per iniziare una nuova avventura. Mai desiderato come questo difficile anno, pieno di tanti problemi e dolori per tutti, il desiderio di cercare una “normalità” mi spinge ad affrontare questo viaggio con tante incognite e con un po’ di timore. Però è veramente tanta la voglia di staccare da tutto. Per cui si parte e come direbbe il capitano Kirk, “alla via così, signor Sulu ci porti fuori”.

1° giorno

Lasciato indietro il casello di Prato Est inizio il viaggio che mi porterà (spero) in giro per l’Europa in un’avventura con tanti panorami e un po’ di storia (seconda guerra mondiale) vista con gli occhi ignoranti di un curioso che, proprio su quest’argomento, all’esame di maturità fece scena muta.

Per ora è tutto molto noioso. Autostrada, un po’ di traffico e tanto, tanto caldo. Verso l’ora di pranzo arrivo al confine sloveno lo supero senza nessun controllo. Resto stupito perché anche in senso contrario non ci sono controlli di nessun tipo. Lascio l’autostrada e percorro delle belle strade che tagliano la penisola d’Istria e si inerpicano fino quasi a mille metri dove finalmente trovò un po’ di refrigerio, grazie all’aria fresca di un recente temporale che ha lasciato ancora la strada ancora umida. Ma non dura molto perché si ridiscende troppo presto. Attraverso bei paesini dove il denominatore comune sembra essere “trattorie con maiale alla brace”! È un susseguirsi di arrostitori, fumo e profumo di carne arrosto. Sarà l’ora, sarà la voragine che questo profumo ha aperto nel mio stomaco, ma vince la fame e mi fermo a sbranare delle splendide costolette alla brace.

Riprendo il viaggio e assecondo il navigatore che mi fa lasciare la strada principale per una delle sue solite deviazioni paesaggistiche. Mi avventuro così in una stretta strada (per fortuna asfaltata) che passa in mezzo a boschi, piccoli villaggi, e campi di granturco. Uno spettacolo! In più di mezz’ora di strada non incontro che una macchina ed il silenzio è riempito solo dal rumore della mia moto. È quasi sacrilego disturbare questa tranquillità, ma non posso proprio andare a piedi e spingere la moto. Noto anche qua e là delle case completamente o parzialmente distrutte. Sono i segni della devastante guerra che vide i Balcani teatro di sanguinosi scontri ed epurazioni etniche. Qui, essendo vicino il confine tra Croazia e Bosnia, ci furono violenti scontri e quest’area fu praticamente rasa al suolo, nel disinteresse di tutti, in quanto più concentrati su quello che succedeva a Sarajevo e Mostar. Una delle tante guerre “dimenticate”. Qui praticamente tutte le case sono visibilmente nuove. Alcune ancora coi mattoni a vista forse per impossibilità di risorse per completarle. Molte sono quelle semidistrutte che portano visibili ancora i segni degli incendi appiccati. E tutto questo è sempre molto triste da vedere, ovunque sia e qualunque siano le “motivazioni” di una guerra.

Non voglio rattristarvi, per cui vi racconto che il posto è bellissimo. Si ma dove sono?? Direte voi. Facile! Plitvicka Jezera.

Ma di questo vi parlerò domani, quando andremo (io e voi) a visitare questa riserva naturale stupenda. Adesso però non fate i furbetti e vi andate a cercare le foto su Google. Se no poi vi rovinate il racconto.

Intanto sono arrivato alla mia House che mi ospiterà per i prossimi giorni. Si perché un’altra novità di questo viaggio è che, purtroppo, ho lasciato la tenda a casa e quest’anno solo House, B&B, piccoli hotel. Un po’ mi dispiace, ma l’attenzione per il Covid mi fa consigliato di evitare il campeggio.

Bene per oggi è tutto, ora relax dopo i 650 km fatti oggi.

Grazie per avermi tenuto compagnia e ci si vede domani.

Buonanotte 😘

2° Giorno

Oggi si parte in esplorazione della riserva naturale di Plitvicka Jezera: i laghi di Plitvice. Definita la perla della Croazia, questa riserva, diventata nel 1979 patrimonio dell’UNESCO, è sicuramente quella più bella d’Europa. L’area, formatasi 280 milioni di anni fa, è rimasta sommersa sotto il mare fino a 25 milioni di anni fa. Questo ha creato un accumulo di sedimenti marini organici di piante e animali che hanno dato origini a rocce calcaree di varia natura. Dopo l’emersione, gli agenti atmosferici e le glaciazioni hanno dato origine alla struttura di grotte e canyon. Ma un altro fenomeno ha portato alla creazione dei laghi. Il fiume Nero e il fiume Bianco che qui s’incontrano dando origine al fiume Korana, sono ricchi di sali calcarei, carbonato di calcio e carbonato di magnesio. Questa miscela viene condensata dalla vegetazione che qui dà origine ad una roccia organica: il travertino. Si sono quindi formate delle dighe la cui crescita è ancora attiva e si innalza di 1 cm l’anno. Queste dighe hanno dato origine ai 16 laghi che si susseguono in cascata. Questo particolare fenomeno è stato oggetto di studi fin dal 1898, ma il parco venne istituito solo nel 1949. È proprio qui che il 31 marzo 1991 ebbe luogo una sanguinosa battaglia tra Serbi e Croati conosciuta come la Pasqua di sangue di Plitvice. Evidenti ancora i segni dei crateri dei mortai e le casematte sparse all’interno del bosco.

Comincio la visita prendendo un trenino che mi porterà al lago più alto. In questo modo il percorso sarà quasi sempre in discesa e quindi meno faticoso. Dopotutto ho una certa età. Il panorama è veramente mozzafiato. Le lunghe passerelle di legno si snodano tra la foresta e i bordi dei laghi. L’acqua cristallina ha i colori mutevoli dal blu allo smeraldo, a seconda della luce che colpisce la superficie. Le cascate rendono vivo il paesaggio con salti che vanno dai 10 agli oltre 70 metri, con la vegetazione che viene accarezzata dall’acqua che scorre. Si cammina sempre all’ombra per cui anche se la temperatura non è proprio mite, non si avverte mai troppo caldo. Prevalentemente il percorso che mi ha consigliato la guida locale, è in discesa. Ma vedo molti che percorrono la stessa strada in direzione opposta e quindi sempre in salita e mi chiedo “ma perché??” Sempre meglio chiedere prima!!!

Agevolmente percorro poco più di 6 km ed arrivo al Kozjak, il lago più grande, dove si prende un battello che lo attraversa per tutta la sua lunghezza. Venti minuti di dolce traversata mi permettono di riposare un po’ e di rinfrescarmi con l’aria del movimento del battello. Sbarcato mi accoglie un centro di ristoro con tavoli all’ombra, dove si può mangiare al self-service oppure fare il picnic coi panini portati da casa. Così, in compagnia di una coppia di ragazzi locali, mi siedo ad un tavolo, preparo i miei panini e pranzo. Ancora due ore di camminata mi attendono per cui è bene riposarsi un po’. Riprendo il cammino e ancora resto estasiato dalla visione dei laghi. Raggiungo una grotta, una delle tante in questa zona, e con una ripida scalinata attraverso la roccia scavata dall’acqua, risalgo per 80 metri il fianco della montagna. Qui il panorama muta, perché mentre i laghi superiori sono aperti e larghi, ora sono stretti e compressi tra le pareti di un canyon. La fatica dei gradini è però ripagata dalla visione dall’alto dei laghi. Stupendo. Mi avvio verso la fine del percorso, dove troverò un trenino che mi riporterà agevolmente nel punto da cui sono partito. Negli ultimi metri prima di arrivare al parcheggio, noto tra la vegetazione i resti di quello che fu un albergo, con accanto il nuovo albergo. Penso e cerco tra i ricordi di quando visitai questi luoghi 40 anni fa. Allora era tutto nuovo, in costruzione. C’era quasi un’euforia per la creazione di tante nuove strutture che avrebbero dato vita a questo parco. Di quello che ricordo, non esiste più nulla, a cominciare dalla bellissima reception che accoglieva i visitatori. Ora solo delle piccole costruzioni in legno hanno sostituito tutto quello che è stato distrutto.

Riprendo la moto e percorro a ritroso i pochi chilometri che mi separano dal mio alloggio. Poco più di 11 km di camminata lungo passerelle in legno e sentieri, sono stati ripagati dalla visione magnifica e rilassante di questi laghi.

Una lunga chiacchierata con una guida, mi ha dato molte informazioni che cercavo per una mia ricerca di cui vi parlerò nei prossimi giorni.

Per ora vi saluto e grazie per avermi tenuto compagnia. Ci vediamo domani.

Buonanotte 😘

3° Giorno

La visita ai laghi di Plitvice di ieri ci ha fatto conoscere il territorio così come si mostra alla luce del sole. Ma sotto cosa c’è? È quello che scopriremo oggi con una visita al sottosuolo della regione: le Barać Caves. E mentre escono dalla radio della moto, leggere le note di Generale cantato da Vasco, percorro una stradina che si snoda dolce tra le colline. “Generale dietro la collina…” e arrivo in poco tempo alle grotte. Scoperte ed aperte al pubblico nel 1840, furono abbandonate fino al 2004, quando venne aperta la parte superiore delle grotte. La regione di natura carsica è ovviamente ricca di grotte e questa è solo una delle tante che si possono incontrare. È vero che vista una, le hai viste tutte, ma per me è sempre affascinante calarmi nelle viscere della terra e pensare alle forze che hanno creato nei millenni questi antri. Una simpatica guida ci spiega le peculiarità della grotta. La prima è che in un’area non accessibile al pubblico (per fortuna) vivono delle numerose colonie di pipistrelli. La particolarità è che le due specie che vivono qui, una grande e una molto piccola, non si trovano in nessun’altra parte del mondo. Questo il motivo per cui sono protetti. Un’altra particolarità è data dal fatto che la grotta è “viva”, cioè tutte le stalattiti e stalagmiti sono in accrescimento per l’acqua ricca di carbonati che continuando a filtrare dall’alto le accresce di un millimetro ogni 10 anni. UN MILLIMETRO!!! Questo vuol dire che per fare un metro di roccia occorrono 10.000 anni. Le gocce “appese” alle stalattiti sono ben visibili e ho voluto calcolare quanto tempo ci volesse prima che si staccasse e se ne formasse un’altra. Dopo 30 secondi che ne osservavo una, questa si è staccata, ma dopo un minuto non si vedeva nemmeno che si stava formando una nuova goccia, per cui ho desistito. La natura ha molta più pazienza e tempo di me. L’ultima curiosità è che qui hanno vissuto gli orsi, tanto che sono state ritrovate le ossa di un esemplare caduto in un buco. Mi chiedo: ma gli orsi ci vedono al buio??? No, perché qui il buio e il silenzio sono totali, molto più che un normale buio di notte. Spente infatti le luci, ci si ritrova veramente in un buio profondo, assoluto e il respiro diventa assordante. Un mistero è il ritrovamento di un bracciale di bronzo risalente al primo medioevo di cui non si è potuto dare né la provenienza, né la motivazione per cui fosse lì. Naturalmente sono state ritrovati anche i passaggi di uomini nella preistoria, ma senza nulla di rilevante. Torniamo quindi all’aperto e subito si rimpiange la temperatura di 9 gradi che c’era dentro la grotta.

Si avvicina l’ora di pranzo e mi avvio verso un paese ad una ventina di km dove il fiume scorre placido ed è consentito fare il bagno. Il posto molto ben organizzato e abbastanza tranquillo nonostante sia domenica, mi invoglia a rimanere. Stendo sul prato l’asciugamano e subito mi tuffo in un’acqua limpida e piacevolmente fresca. Bellissimo. Ritemprato, preparo i miei panini, mentre intorno tutti bevono, mangiano e arrostiscono. Ci scambiamo occhiate e poi saluti con un gruppo di motociclisti locali e riesco a fare anche due chiacchiere (grazie Google Translator ). Sono in totale relax all’ombra degli alberi e ovviamente scatta la pennica.

Ormai si sta spopolando e decido di rientrare anche io. E torno a casa.

Vi avevo promesso una storia. E allora iniziamo. Tutto comincia nei mesi di reclusione appena trascorsi, dove gli unici compagni erano il frigorifero e la televisione. In un bel documentario sulla seconda guerra mondiale, si parlava proprio della Croazia. Ma la cosa che subito mi colpisce è un personaggio che emerge nel racconto. Un personaggio che farà da fil rouge ad una serie di eventi narrati dal documentario e, guarda caso, anche al mio viaggio. Si tratta quasi certamente di una donna che compare come “staffetta”, ma che in breve tempo diventa una elemento determinante per le varie resistenze dell’Europa dell’est. Parlando ieri con la guida, ho scoperta che si trattava proprio di una donna, di nome probabilmente Irina. Nativa di questi luoghi, qui è quasi una leggenda, tanto da ricomparire negli ultimi anni della sua vita, come punto di riferimento durante la guerra del 1991 tra Croati e Serbi. Beh spero di avervi solleticato, perché continuerò il racconto nei prossimi giorni. Spero anche di trovare altre informazioni strada facendo.

Per ora vi saluto e vi ringrazio per avermi tenuto compagnia. Ci vediamo domani.

Buonanotte 😘

4° Giorno

Oggi purtroppo pioggia. E con labb Vn pioggia si può fare poco. Per cui poltrisco a letto godendo del fresco che entra dalla finestra. Ne approfitto per organizzare gli appunti e vedere le prossime destinazioni. Verso le 10 smette di piovere e le previsioni danno tempo in miglioramento. Decido quindi di andare a Zagabria, a dare un’occhiata veloce alla città. Prima tappa obbligatoria è la concessionaria dell’harley dove incontro delle persone di Fiume che parlano bene l’italiano. Scambio un po’ di chiacchiere e poi chiedo cosa c’è di bello da vedere a Zagabria. NULLA è la loro risposta. Saluto e un po’ sconsolato mi avvio verso il centro. In effetti non vedo una bella città. Molti ancora i casermoni in stile unione sovietica, piuttosto brutti. Verso il centro le cose migliorano un po’. Guardo da fuori la cattedrale, chiusa perché inabile dopo il terremoto, scatto qualche foto ai “pezzi” smontati e usurati dal tempo e al vecchio orologio fermo alle 7:03 ora del terremoto del 1880 che devastò la città distruggendo la stessa cattedrale. Altre due forti scosse (5.3) hanno colpito Zagabria il 22 marzo scorso in pieno lockdown provocando diversi morti e molti danni. Insomma una città non proprio fortunata visto che nel passato è stata colpita dalla peste e distrutta due volte dagli incendi. Beh io non ci vivrei. Quello che oggi mi colpisce è la pochissima gente per le strade. Anche i locali e i negozi sono vuoti, molti quelli chiusi. Che disastro!!!! Mangio al volo qualcosa e cominciano a cadere le prime gocce dalle nuvole che nel frattempo si sono addensate sulla città. Giusto il tempo di arrivare alla moto e comincia a piovere. Mi vesto e mi avvio verso casa. È così finisce una giornata un po’ rovinata dalla pioggia, ma succede….

Vediamo invece che fine ha fatto Irina. Nei giorni scorsi ho scoperto che era di queste parti e qui ha vissuto parte della sua movimentata vita. Oggi rientrando, sono riuscito a ritrovare la sua casa. Ma di questo vi parlerò poi. Nasce qui m, subito dopo la fine della prima guerra mondiale in una famiglia di contadini e allevatori che avevano una fattoria non lontano dal paesino dove alloggio. Ma quello che interessa noi è quello che succede allo scoppio della seconda guerra mondiale, che Irina, poco più che ventenne, si trova a vivere in modo drammatico. Infatti il 6 aprile 1941 Italia e Germania dichiarano guerra alla Jugoslavia. Apro una parentesi. I fatti che racconto sono fatti storici che narro in modo il più possibile “asettico”. Non voglio giudicare le scelte e le opportunità, né i buoni o i cattivi. Sono un narratore che cerca di distaccarsi al massimo dei fatti incontrovertibili. Spero che voi leggiate queste cose con lo stesso animo.

Quindi gli italiani al fianco dei tedeschi entrano ed occupano la Croazia e il 10 aprile 1941 si firma un trattato che di fatto crea lo fato fantoccio della Croazia e ne dà il controllo all’Italia. Ma non tutti in Italia sono contenti di questo trattato, tanto che il principe Aimone di Savoia, indicato da Vittorio Emanuele III come reggente, rifiuta inizialmente la corona e solo dopo pressione del monarca, accetterà, ma non metterà mai piede in Croazia né farà la più piccola ingerenza nei confronti di uno stato che non apparteneva all’Italia.

Questo a grandi linee il quadro storico della situazione, necessario per capire il perché di alcuni fatti che accadranno.

Mentre la parte più a sud, Dalmazia, Bosnia ed Erzegovina, sono difficili da controllare e solo l’aiuto delle milizie dell’Ustascia, gruppo nazionalista di estrema destra, le truppe italiane riescono a gestire la situazione, nella parte più a nord quella dice mi trovo ora, le cose erano molto più facili, vuoi per la popolazione non ostile, vuoi perché i tedeschi avevano lasciato l’area per concentrarsi sul fronte russo. Forse anche le truppe italiane erano più mansuete rispetto quelle del sud. Così successe che i soldati permisero il rientro delle minoranze etniche e religiose cacciate dai tedeschi, arrivando fino a non consegnare 30.000 ebrei croati né ai tedeschi né all’Ustascia, salvando di fatto loro la vita. In questa operazione forte fu l’intervento della nostra Irina. Andiamo con ordine. Durante i primi giorni dell’occupazione, i tedeschi misero una piccola compagnia di italiano a presidiare una strada interna. Si stanziarono guarda caso nella fattoria di Irina. Senza mandare via la famiglia, anzi aiutandola con i loro viveri. E per ora li lasciamo lì a fare conoscenza e il racconto continua domani.

Spero di non avervi annoiato e vi ringrazio di avermi tenuto compagnia.

A domani.

Buonanotte 😘

5° Giorno

Ci si sposta.

Dopo 3 giorni passato in relax è giunta l’ora di vedere nuovi orizzonti. Dopo una notte di forte temporali con tuoni e fulmini, mi sveglio e mi appare una bella giornata di sole con solo qualche nuvola. Quello che vorrei capire è perché in ferie mi sveglio alle 6,30 senza la possibilità di riaddormentarmi, mentre normalmente quando lavoro, alle 7 non riesco a trovare la strada per alzarmi. E nemmeno quella del bagno!!!

Insomma preparo i bagagli e scendo per caricare la moto. Sorpresa!!! Pulita, lucida e asciutta!!! Arriva sorridendo il proprietario della pensione e mi dice che era sporca, bagnata dalla pioggia e l’ha lavata ed asciugata!!! Quest’uomo lo voglio sul comodino!! Questa di chiama ospitalità. Ci salutiamo in regime Covid e mi avvio a percorrere gli 857 km della tappa odierna. La temperatura è fresca, il sole va e viene e non è mai caldo. L’ideale per viaggiare. Ma dura poco. Dopo solo un’ora mi tuffo sotto un cielo plumbeo e cominciano i primi scrosci. Durano poco, 5 – 10 minuti. Ma mi accompagnano per due ore. Poi esco dalla perturbazione, esce il sole e comincia il caldo. Da 19 gradi ad arrivare a 30 il passo è breve. Ma dico io: una via di mezzo no??? Il 70% del tragitto sarà in autostrada. Devo dire però che questa non è la classica autostrada monotona. Il paesaggio è vario. Pur non essendo montuoso, ma totalmente pianeggiante, la vista è piuttosto varia. Per chilometri a destra campi gialli dì girasoli e a sinistra campi verdi di mais. Ma poi cambia tutto. A destra io mais e a sinistra i girasoli. E così scorrono i chilometri… tanti chilometri di mais e girasoli. Si sa, i trasferimenti specie se così lunghi e in autostrada, non offrono grandi visuali, girasoli e mais a parte, e così arrivo alla prima frontiera. Si perché oggi attraverserò quattro stati: Croazia, Serbia, Ungheria e Romania dove sono diretto. Si perché ho ancora una volta cambiato il viaggio in corso d’opera, tornando al progetto iniziale di andare in transilvania. Esco quindi dalla Croazia e, dopo un lungo ponte su un largo fiume che segna il confine, il Danubio, arrivo in Serbia. Qui mi accoglie una frontiera come non ne vedevo più da tempo, di chiaro stampo comunista. Forse reminiscenze di un passato ancora troppo vicino. Presento la carta d’identità (normalmente accettata in Serbia) e dopo averla girata e rigirata, il poliziotto dalla sua garitta mi chiede se ho il passaporto. Certamente. E consegno il passaporto dove all’interno sono riposti i documenti di Europassistance che guarda curioso. Mi ridà il passaporto e ricomincia l’analisi della carta d’identità. La gira e rigira, la guarda in trasparenza, controluce, cambiando l’angolo di visuale e l’incidenza della luce. Ma che cerca, penso. Nel frattempo si avvicina un camionista che era già lì in chiacchera prima che arrivassi io. Si arriva alle domande in un italiano ostentato, ma corretto. Nome? Paolo risposta esatta. Cognome? Massimi due su due vai così. Nato a? Cagliari (e lì ti volevo) Sardegna aggiungo. Si apre in un sorriso. Si sì Sardegna, Palermo. E no!!!! Palermo è in Sicilia!!! Lezione di geografia!! Palermo è in Sicilia, Cagliari è in Sardegna. Anche il camionista conferma intervenendo in questa interessante discussione. Esame superato. Trascrive i dati e scannerizza 20 volte il documento. Intanto mi allontano un po’ dalla finestrella della guardiola perché l’olezzo alcolico che ne scaturisce infastidendomi, è secondo solo a quello che trasuda dal camionista che ad ogni buon conto si avvia verso il suo articolato e riparte. Sarà, penso io, una valida alternativa alla mascherina. Il virus non sopravvive sicuramente a tutto quest’alcol !!! Ora arriva il bello. I documenti della moto!! Pure???!!! E che cavolo. Vado via domani di questo passo. Per farla breve perdo più di mezz’ora per passare la frontiera e meno male che c’ero solo io. Stesse scene anche se più soft alle altre frontiere. Fino a quella rumena dove basta un’occhiata veloce al documento e passo. Queste le avventure di questa inutile giornata. Solo una considerazione sulla Serbia. A parte una mia idea che i rapporti con i croati non siano idilliaci, a conferma di ciò subito dopo il confine una decina di chiatte militari pronte ad essere messe in acqua, mi colpisce il degrado e la tangibile difficoltà economica di questo paese. Colpito duramente fino a pochi anni fa da embarghi, più o meno pesanti, svalutazione verticale della moneta (fuori dalla Serbia vale più come carta), alternanze di governi disastrosi, mi pare che fatichi molto a rialzarsi. Le infrastrutture e le strade pesantemente distrutte, sono in condizioni disperate. Su quella che potrebbe essere una strada di grande comunicazione, è imposto un limite a 70 km/h. Ma sarebbe da folli già andare a quella velocità, visto il traffico (pesante), le buche, i rattoppi e le sole due corsie strettissime e senza protezioni né corsia di emergenza. Gli edifici sono fatiscenti. Vecchi e mal tenuti. Anche quelli ricostruiti recentemente sono in uno stato di abbandono. Nelle periferie troneggiano ancora i casermoni abitativi stile sovietico. Su cerca di mantenere un anacronistico alfabeto cirillico, anche se le indicazioni riportano sotto la scritta con caratteri latini. Sembra un paese fuori dal tempo, che ha perso il tempo di evolversi come le competerebbe da paese al centro dell’Europa. Comunque sono solo miei pensieri. Quello che conta è essere arrivato in Romania dove vedo una situazione diametralmente opposta. Tutto è nuovo, c’è un grande fervore di ricostruzione. Strade, case, industrie. Tutto è nuovo, visibilmente nuovo. C’è più accoglienza. L’idea che sia ha è quella dì un’economia lanciata in crescita. La stessa pensione dove dormirò stanotte, è nuova. Una camera enorme, un bel bagno con idromassaggio, un ristorante dove ho mangiato bene e speso pochissimo. Per inciso la camera che vedete nelle foto è costata 32 euro.

Comunque è tardi e sono piuttosto stanco. So che aspettavate notizie di Irina, ma la stanchezza è veramente tanta ed invece di parlarvi di Irina, potrei raccontarvi della coniglietto del mese di Play Boy (citazione di un grande film. La frase esatta era “il mio morse è talmente arrugginito che potrei trasmette le misure della coniglietta del mese di Play Boy”. Chi ricorda il film??)

Allora vi ringrazio di avermi tenuto compagnia anche oggi. Domani vi prometto una bella giornata.

Buonanotte 😘

6° Giorno

Si parte di buonora anche se la tentazione di fare un tuffo in quella bella piscina è grande. Oggi però mi attendono 450 km di strada di montagna e infatti si passa dalla Transalpina una strada stupenda che in 85 km sale da 300 metri a 2145 attraverso paesaggi mozzafiato attraversando foreste e costeggiando laghi. Ma perché Transalpina, visto che le Alpi sono parecchio distanti? La risposta più accreditata viene dal Latino, che attribuiva al nome Alpi anche quello generico di montagna. Quindi strada che attraversa le montagne. In realtà sono i Carpazi le montagne attraversate. Costruita dal re Carol II su una vecchia strada romana (strano!), per poter superare i Carpazi in modo rapido, fu iniziata nel 1930 e inaugurata col passaggio del re con al seguito tutta la sua famiglia, nel 1935. Solo 5 anni e interamente a mano!!! Oggi forse non ne basterebbero 15. Completamente pavimentata, in pietra, fu consolidata durante la seconda guerra mondiale per poi essere abbandonata. Solo intorno al 2005 venne ripresa in considerazione la sistemazione della strada, divenuta ormai percorribile solo da fuoristrada. Fu iniziata ad essere asfaltata nel 2009 e gli ultimi tratti sono stati aperti appena nel maggio di quest’anno. È uno spettacolo. Considerata giustamente la strada più bella d’Europa e una delle più belle del mondo, si snoda attraverso strette vallate in mezzo ai boschi, con curve dolci e morbide, ma anche con ripidi e stretti tornanti. Devo dire che da fare in moto è divertente, ma anche impegnativo. E comunque si sale senza fretta, perché contemplare la varietà del paesaggio è inebriante. Si arriva quindi al primo grande lago chiuso da una diga. La visuale sulle valli è stupenda. E grazie anche ad un bel sole e ad un’aria limpida il contrasto del verde dei boschi e l’azzurro del lago lasciano senza parole. Si prosegue la salita e, costeggiato un secondo lago più piccolo, si attraversa un paesino. Siamo a quota 1400 metri. Si prosegue la salita è ben presto si arriva ai margini della vegetazione e i boschi lasciano il posto a vasti altopiani verdi. Ci siamo. Ancora pochi metri e si arriva in cima. Passo Urdele 2145. Durante la discesa un po’ di nebbia che però si dirada rapidamente anche grazie ad un leggero vento. L’altro versante è decisamente meno bello, meno boschi e più paesini. Anche una stazione sciistica ben affollata. Ma il bello ormai l’ho già vissuto. Con i 145 km tra salita e discesa è veramente la strada più bella che abbia mai percorso. Ora ci sono 200 km da fare per arrivare a destinazione. Saranno decisamente impegnativi anche questi, tra lavori, pavimentazione disastrata, grande traffico di mezzi pesanti e tratti talmente stretti da rendere quasi impossibile l’incrocio di due tir. Senza considerare che sulla strada si trova di tutto. Mucche e asini che attraversano placidi o addirittura che occupano la strada senza nessuna intenzione di spostarsi. Carretti tirati da cavalli. E tanta tanta cacca di cavallo, mucca e asini. Evitare quella fresca è un’impresa, ma il peggio è che viene spalmata dalle macchine sull’asfalto, rendendolo scivoloso come il ghiaccio!! Occhio quindi a tutte le curve. Comunque in certi tratti, sembra di tornare indietro nel tempo, con i cavalli legati fuori quasi ad ogni casa, a testimonianza che è il loro mezzo di locomozione. Tanti sono i carretti a uno o due cavalli, che trasportano di tutto, paglia, masserizie, persone. Una nonnina passeggia con due caprette e due cani, mentre i bambini che giocano sul prato davanti la casa e che probabilmente non sanno cosa sia un cellulare, ti salutano sbracciandosi sorridenti. Frequenti sono gli altarini credo ortodossi, davanti ai quali gli anziani si soffermano facendosi ripetutamente il segno della croce, ampio, tipico della loro religione. Ormai manca pochissimo e stanco ma felice per tutto quello che ho visto, arrivo alla “pensione”. In realtà credo che per pensione si intenda albergo perché anche qui la camera è enorme e molto bella. Mi sistemo e vado a mangiare in un ristorante consigliato dalla proprietaria dell’albergo. Ora scrivo il diario.

Questa la giornata, ma vi avevo promesso notizie della nostra Irina.

L’abbiamo lasciata con la famiglia a conoscere i soldati italiani. I rapporti sono ottimi anche per l’assoluta inutilità di tenere lì dei soldati a difesa di nulla. Ma tant’è, meglio così, avranno pensato quei ragazzi. E così passano il tempo ad aiutare la famiglia nella gestione della casa. Sistemare il fienile, rimettere qualche tegola sul tetto. Insomma si tengono impegnati e si rendono utili.

Irina però ha intrapreso un’altra attività. All’insaputa dei militari, esce con varie scuse dal loro controllo e viene avvicinata da elementi della resistenza. Inizialmente lei e la sua famiglia vengono accusati di collaborazionismo, ma spiegata la situazione, si rende disponibile a fare da collegamento tra due gruppi della resistenza e di fornire loro eventuali notizie apprese dai soldati. Come accordo, ottiene l’immunità per i soldati della fattoria, contro i quali non verrà fatta nessun’azione. Comincia così la seconda vita di Irina, che si divide tra la fattoria e la resistenza. Ma le cose ovviamente non possono durare molto senza che Irina venga scoperta. Ed è così che un giovane soldato si accorge delle uscite sospette e decide di seguirla di nascosto scoprendo la vera natura di quelle passeggiate. Al ritorno, senza dire nulla a nessuno, il soldato mette alle strette Irina costringendola ad ammettere la propria responsabilità.

Beh… suspance. Continuo domani.

Per ora vi saluto e vi ringrazio per avermi tenuto compagnia anche oggi.

A domani

Buonanotte 😘

7° Giorno

Oggi giornata defaticante dopo i km macinati in questi due giorni. Mi alzo con comodo e dopo la colazione vado per castelli. Il primo è ovviamente il castello di Bran, il castello del conte Dracula 🧛‍♂️

La storia di questo castello è piuttosto travagliata. Parte dal 1211 quando viene costruita una piccola fortezza in legno fino ad arrivare ai giorni nostri, passando di mano almeno 6-7 volte. Tra i monarchi che abitarono il castello, spicca il sanguinario Vlad III di Valacchia conosciuto anche come “Vlad l’Impalatore” per il simpatico trattamento riservato ai suoi nemici. Ovviamente non vi dimorò mai nessun Conte Dracula, parto della perversa fantasia Bram Stoker e della sua opera del 1897 Dracula, ambientata in Transilvania, in un castello vicino ai Carpazi, dalle caratteristiche molto simili a quelle del castello di Bran. In effetti Stoker non vide mai la Transilvania né il castello, ma ormai il castello di Bran è diventato il castello di Dracula. Suggestivo, costruito sopra uno spuntone di roccia, di architettura medievale, lo vedo solo l’esterno, in quanto un grande “assembramento” mi fa desistere dalla visita. Giusto il tempo per qualche souvenir e parto alla ricerca di qualche altro castello. Abbandono le strade principali e, senza fretta, percorro stradine interne meno battute che attraversano piccoli paesini. In tanti luoghi che attraverso, provo nuovamente la sensazione che il tempo di sia fermato. Anche qui le case, le persone, i carretti trainati dai cavalli, mi riportano ad altre epoche, dove si viveva più semplicemente e, forse, meglio. Obbligato a riprendere la strada principale, arrivo a Fagaras dove il centro è dominato dalla Fortezza. Fu costruita nel 1310 da Ladislau Apor, intorno ad essa si è sviluppata la città. Pare che da Apor derivi anche il nome delle Alpi Trasilvaniche (i Carpazi meridionali) e quindi il none della strada Transalpina, se non fosse che questo nome era già presente in mappe antecedenti questo periodo. Ne approfitto per una visita, vista la pochissima presenza di turisti. In quattro o cinque vaghiamo tra le sale, non particolarmente ampie. La più grande è la sala del trono, ma è tutto molto essenziale e spartano, a testimonianza della sua natura prevalentemente militare e giudiziaria.

Completo la visita e ormai è abbondantemente passata l’ora di pranzo, per cui trovo qualcosa da mangiare. Intanto però la temperatura è passata dai 17 gradi di stamattina a quasi 30. Un po’ stanco e molto accaldato decido quindi di fare ritorno in albergo a riposare, viste anche le giornate impegnative che mi attendono domani e dopodomani.

Ne approfitto allora per raccontarvi qualche altra notizia di Irina, riunendo le notizie del servizio televisivo con quelle raccolte a Plitvice.

L’abbiamo lasciata alle prese con un soldato che aveva scoperto i suoi contatti con la resistenza. Irina spiegò al militare che lo faceva solo per aiutare alcune persone a cui teneva e che era riuscita ad ottenere la promessa che non ci sarebbero state azioni contro i militari nella fattoria. Evidentemente fu convincente, perché il giovane soldato non solo non rivelò la cosa a nessuno, ma si offrì di coprirla nelle sue “fughe”. Nacque così un’intesa tra i due. Ora metti insieme due giovani ragazzi, uniscili da una complicità, dai loro l’incertezza di una guerra ed ottieni una miscela altamente esplosiva. Tra i due nacque molto più che una complicità. E questo fu anche il motivo delle scelte di entrambi.

Ma il seguito ve lo racconto domani.

Per ora vi ringrazio per avermi tenuto compagnia e vi auguro la buonanotte 😘

8° e 9° Giorno

Dopo la pausa stanchezza di ieri, aggiorno il diario di bordo. Comincio con oggi, visto che si tratta del trasferimento da Bran a Budapest. In pratica chilometri chilometri benzina, chilometri, chilometri, pranzo, chilometri chilometri benzina, chilometri chilometri frontiera, chilometri chilometri arrivato. Abbastanza noioso vero? Panorama? Nulla di che. Solo autostrada quasi dritta e piatta. Noiosissima. A proposito… per fare benzina sono dovuto uscire dall’autostrada per due volte ed entrare in nei paesini, perché in autostrada non ci sono distributori. O meglio, ci sono ma il primo era dopo 160 km e la seconda volta dopo 150 non si vedeva ancora nulla. Quindi meglio non rischiare. Questa è stata l’unica “avventura” della giornata.

Quindi il giorno 9 l’abbiamo fatto.

Tutt’altro è stato ieri. Infatti ho percorso la strada dal nome impronunciabile per la quale sono venuto qui: la Transfăgărășan. Costruita per volere di Ceaușescu a scopo militare subito dopo l’invasione della Cecoslovacchia del 1968, fu aperta con grande sforzo utilizzando più di 6 milioni di kg di dinamite e costò la vita a 40 tra operai e soldati. È stata definita dal programma televisivo Top Gear la più bella strada del mondo, portando in seconda posizione quella del passo dello Stelvio. Non posso che essere d’accordo. La Transalpina è stata veramente emozionante, ma questa ragazzi è un capolavoro. Boschi, dirupi, valli, fiumi, laghi e c’è perfino Goldrake!!! Non chiedetemi perché!!!! Ma quello che è spettacolare è il tracciato della strada in mezzo a tutto questo. 90 km di curve, tornanti e gallerie, a tratti ripidi, a tratti meno che si percorrono non senza una grande fatica, almeno in moto. L’asfalto abbastanza rovinato, mettono a dura prova le sospensioni e le braccia, nel tentativo non di schivare le buche e gli avvallamenti, ma di prenderne il meno possibile. Ovviamente la velocità è bassa e tra fermate per foto e panorami e mangiare qualcosa, ci vogliono più quattro ore per percorrerla da sud a nord. Questo è infatti il verso consigliato perché il più suggestivo, la parte sud, è più ricca di boschi. Mentre la parte nord è più spoglia ed anche la più trafficata. Durante la salita è facile scorgere dentro il bosco, tra gli alberi, gli orsi che qui vivono numerosi. È anche facile trovare una felice mamma coi tre cuccioli che beatamente si fanno fotografare senza protestare. Però resto sulla moto accesa e non mi avvicino. Non si sa mai. Sul valico a 2045 metri, sopra una montagnosa, svetta la statua in acciaio di Goldrake. Non sono riuscito a scoprire perché sia lì. Forse non si abbina molto al territorio, ma fa simpatia. Comincio la discesa, decisamente meno bella della salita, e anche più corta. Mi avvio verso l’albergo, lasciandomi alle spalle un’esperienza fantastica che appagano gli occhi e la mente e che fà gioire il motociclista. In totale ho percorso 350 km per fare tutto il giro e rientro stanchissimo tanto da crollare dopo la doccia senza nemmeno andare a cena.

Ora voi vorrete sapere a che punto siamo con Irina. L’avevamo lasciata che approfondiva la conoscenza con il giovane soldato. Col suo aiuto Irina si prodiga per aiutare molte persone nella zona, compresi parecchi ebrei, che con la complicità della resistenza, possono fuggire al loro triste destino. Anche i soldati della fattoria fanno di tutto per aiutare la popolazione dei dintorni, quasi tutti anziani in quanto i giovani sono a combattere nell’esercito o nella resistenza. Tutto sembra procedere bene, troppo bene, troppo bello per durare. Le nubi dell’esercito dell’Ustascia si stanno addensando sul cielo di Plitvica e si prepara un temporale che si abbatterà forte ed inaspettato.

Ma di questo vi parlerò domani.

Per ora vi ringrazio per avermi tenuto compagnia anche oggi e si saluto. A domani.

Buonanotte 😘

10° Giorno

Oggi giretto per Budapest. Giusto un’occhiata abbastanza veloce lontano dalle folle, che peraltro non sembra siano eccessive. Salgo quindi sulla cittadella, la parte più antica, Buda, dove gli abitanti si rifugiavano durante gli attacchi dei Mongoli. Da qui ci si può affacciare dal bastione dei pescatori e godere della splendida visuale del Danubio e di tutta la città. Le tre città che formarono l’attuale Budapest, Buda, Óbuda e Pest, dopo molte traversie e dominazioni, divennero tutt’uno nel 1867 a seguito del compromesso Austroungarico che ne sancì l’unificazione. Duramente bombardata e distrutta dall’armata russa nel 1945, fu ricostruita nel dopoguerra. Ma dal 1956 divenne teatro di una forte repressione sovietica e divenne un esempio delle dottrine più pragmatiche del regime comunista fino al 1989 con la caduta appunto del comunismo. Ho avuto la fortuna/sfortuna di vederla nel 1979 e cioè ancora sotto la direzione comunista e devo dire che per fortuna le cose sono molto cambiate. In meglio e in peggio. Ormai è una metropoli occidentale e non rimane nessuna traccia della repressione che si viveva in quegli anni. Ma come molte grandi città, la piccola delinquenza dilaga. Non è una città sicura, anche nel centro, e credetemi ho i miei buoni motivi per dirlo. Fuori dalle vie principali, la città è decisamente sporca. La polizia è inesistente. Ma queste sono miei considerazioni personali che però ho voluto esternare con una mail al Sindaco Gergely Karácsony (ed è la prima volta che faccio una coda del genere) perché reputo che la città meriti più attenzione, come pure i turisti e i suoi cittadini più sicurezza.

Gironzolo intorno alla chiesa di Mattia e giro senza meta curiosando tra le stradine. Trovo un bel parvo ombroso con tante panchine vuote. Si tratta dell’Europa Liget realizzato bel 1973 per celebrare il centenario della fondazione di Budapest. Qui si radunano i sindaci delle capitali e delle più grandi città europee e piantarono un albero come dono alla città. Ai piedi di ogni albero una targa indica la città che l’ha donato. Ma quello che mi attrae è la pace, il fresco e il silenzio di cui si può godere. Dopo essermi rilassato, mi avvio per cercare di mangiare qualcosa e torno nel centro. Attraverso lo stupendo ponte delle catene. Prima della sua costruzione le due città erano collegate da un ponte su chiatte che però era agibile solo d’estate e ogni anno veniva smontato per l’inverno, per poi essere ricostruito nella bella stagione. Il conte István Széchenyi fece costruire il ponte che in realtà porta il suo nome e nel 1849 venne inaugurato. Nel 1945 i tedeschi lo distrussero nel tentativo di frenare l’avanzata dei russi. Fu poi ricostruito nel 1949 in occasione del suo centenario.

Giusto il tempo di pranzare e comincia una inaspettata pioggia che durerà fino alla sera. Qui termina quindi la mia fugace visione di Budapest.

E qui termina la giornata. Domani si riparte per nuovi lidi. E….

Grazie per avermi tenuto compagnia anche oggi. A domani

Buonanotte 😘

11° Giorno

Potrei intitolarlo “Si è spezzata la magia”. Ieri parlando di Budapest ho esternato la sensazione di pericolosità di questa bellissima città. Beh non l’ho fatto senza un valido motivo. Infatti come in pochi sanno, sabato alle nove di sera su una strada in pieno centro, con locali e gente che passeggiava, sono stato aggredito alle spalle da un pazzo ubriaco e drogato. Un primo pugno violento e inaspettato su una scapola e poi calci e altri pugni. Per fortuna tra quelli parati e quelli non andati a segno perché era troppo ubriaco, i danni si sono limitati a qualche livido. L’unico serio è stato un calcio dato con gli anfibi sulla parte esterna della gamba all’altezza del ginocchio. Quello che è peggio è che non riuscivo a togliermelo di torno. Mi sono rifugiato in un fast food dove due ragazzi hanno cercato di mandarlo via. Quindi mi ha aspettato all’ingresso e dopo averci visto col telefono in mano mentre si chiamava la polizia, si è allontanato. Abbiamo visto che ha ripetuto la cosa con altri, fino a che non ne ha trovato uno più grosso di lui che l’ha riempito di botte. Ma si è comunque rialzato come se nulla fosse e se l’è presa con i cartelli e i cestini della spazzatura distruggendoli a calci. Dopo più di mezz’ora è finalmente arrivata la polizia (con comodo e senza nemmeno i lampeggianti) che l’ha circondato e presumo portato via (erano troppo lontani ormai per vedere bene).

Io ero visibilmente molto scosso tanto che questi ragazzi mi hanno tenuto nel loro locale parlando e cercando di farmi calmare. E voglio ringraziarli in particolare Ömer Halit Çınar col quale poi ci siamo scambiati l’amicizia. Rientrato in albergo che fortunatamente era distante 300 metri, ovviamente ho avuto grosse difficoltà a dormire. Questa la disavventura. Devo dire che in 40 anni e più di viaggi, fatti anche in posti non proprio tranquilli, mai mi sarei aspettato di subire questa cosa in pieno centro di Budapest (oltretutto tra l’indifferenza di tutti). Per cui ieri, domenica, l’ho passata a cercare di riacquistare la serenità, e sono arrivato alla decisione di interrompere il viaggio e quindi non andare più a Cracovia, Varsavia, Danzica, Praga e Friburgo, ma di rifugiarmi qualche giorno sulle Alpi austriache in posti che conosco e che mi piacciono, prima di rientrare con largo anticipo rispetto a quello previsto.

Ora credo possiate capire perché non reputo Budapest una città sicura, impressione confermata anche da altri. Un grosso satirico applauso al signor sindaco di Budapest Gergely Karácsony. Non voglio farne un caso politico ma vorrei riportare un estratto di Wikipedia su questo personaggio:

Quello di Gergely Karacsony, 44 anni ed esponente dei Verdi, è il profilo di un politico di centrosinistra con idee progressiste e di apertura rispetto alle politiche migratorie e impegnato nel proporre una svolta green al paese: “Riporteremo la città dal 20° secolo al 21°. Budapest sarà green e libera, la riporteremo in Europa”, ha dichiarato.

Ecco, dico io, se coi soldi che ha personalmente chiesto all’Europa avesse pensato più alla sicurezza dei turisti e dei cittadini di Budapest e a far si che la polizia giri per le strade anziché riempire la città di monopattini ed altri “cosi” elettrici in affitto per tutti (pericolosissimi!!), forse avrebbe una persona in più che consiglierebbe Budapest come città bellissima e tranquilla da visitare.

Vi prego di scusare questo mio inusuale sfogo, ma sono veramente arrabbiato, deluso, rattristato per aver visto rovinare in modo così idiota un bellissimo viaggio.

Riprenderò domani spero più serenamente. E riprenderò anche a parlarvi di Irina, la cui storia ho trascurato in questi ultimi due giorni.

Per ora vi ringrazio per avermi tenuto compagnia. A domani.

Buonanotte 😘

12° Giorno

Oggi in totale relax in un posto isolato vicino a Linz in Austria. Piscina, sdraio, verde, silenzio. L’idea per ritrovare il filo. Voglio ringraziare tutti quanti per i tanti messaggi di solidarietà che mi avete mandato. Grazie di cuore, avevo bisogno del vostro calore ❤️

Il viaggio subirà una profonda variazione. Infatti come ho già detto non andrò a visitare le città che avevo programmato di vedere e resterò in giro su per i monti austriaci. E vedrete che vi porterò in posti splendidi. E stare tranquilli che non ha vinto un ubriacone drogato, perché io supererò tutto e la mia vita continuerà circondato da tante persone che mi vogliono bene, lui resterà quello che è. Cambiare un viaggio non è una sconfitta, ma, credo, un saper modificare le proprie scelte in base anche ad eventi negativi. Tanto poi le città sono sempre lì…

E adesso parliamo di Irina, lei si che si trova veramente in situazioni difficili tanto da rischiare più volte la vita, nel tentativo di aiutare gli altri e far vincere la libertà.

Quindi il periodo della fattoria e della vita relativamente tranquilla, viene devastato quando giunge la notizia che da lì a poco i soldati italiani sarebbero stati sostituiti dalle milizie dell’Ustascia, certamente non altrettanto cordiali. Irina e la sua famiglia decidono quindi di lasciare la fattoria ed andarsi a rifugiare sui monti insieme a tanti altri del luogo che avrebbero lasciato le loro case.

Visti gli ottimi rapporti che si erano creati con i soldati italiani, Irina informa il loro comandante della sua decisione che lui appoggia tanto da darli come scorta fino alla destinazione proprio il giovane militare per dar modi ai due di stare insieme il più a lungo possibile. Quindi caricato un carretto con viveri e altre cose utili, il giorno prima che i soldati se ne vadano, Irina e i suoi genitori lasciano la fattoria scortati dal militare. Dopo una giornata di cammino, quando ormai sono arrivati ad incontrare la resistenza che li avrebbe poi portati in salvo, vengono intercettati da una pattuglia della Ustascia. Irina, i genitori e un gruppo della resistenza si danno alla fuga facendo perdere le tracce, mentre il soldato italiano con altri della resistenza, inizia uno scontro a fuoco con la pattuglia per proteggere la fuga. Sarà l’ultima volta che Irina vedrà il suo innamorato. Lui non farà più ritorno alla fattoria, caduto sotto i colpi dello scontro per salvare il suo amore. Sarà Irina stessa a raccontare ai suoi, di averlo visto cadere sotto i colpi del nemico.

Per ora mi fermo qui. Ho perso un po’ il “filo”, ma lo ritrovo.

Grazie ancora a tutti Amici miei vi abbraccio

Buonanotte 😘

13° Giorno

Oggi trasferimento da Linz a Imst, una cittadina a 800 metri ai piedi delle Alpi austriache. Siamo in Tirolo. Il tragitto è piacevole, alternato tra strade morbide e autostrada. Il paesaggio si arricchisce di montagne e la temperatura non è mai eccessiva. Me la prendo molto comoda e mi gusto il paesaggio. Subito dopo pranzo arrivo in hotel e mi concedo un riposino pomeridiano visto che si sentono tuoni avvicinarsi. Infatti dopo poco piove. Un giretto nel centro decisamente deserto prima di dedicarmi alla cena ed all’ennesima Wiener Schnitzler che a prima vista potrebbe sembrare una banale cotoletta alla milanese. Ma in realtà sono due cose diverse e sebbene gli austriaci durante l’occupazione di Milano scambiarono il piatto milanese per il loro assumendosene la paternità. Un punto a favore degli italiani, strano a dirsi, venne dal famoso maresciallo Radetzky.

Quest’ultimo riferì infatti in una lettera che aveva mangiato per la prima volta la cotoletta a Milano, riconoscendo di conseguenza l’origine meneghina. Sono poi profondamente diverse perché la milanese è di vitello invece che di maiale e la panatura della milanese è fatta con uovo e pan grattato, mentre la Wiener Schnitzler è fatta con farina e pan grattato.

Beh questa disquisizione culinaria è il fatto più saliente della giornata. Spero vi sia piaciuta come è piaciuta a me!!

Per ora vi saluto e domani belle strade e bei panorami. E nuove notizie di Irina.

Grazie per avermi anche oggi tenuto compagnia.

A domani

Buonanotte 😘

14° Giorno

Vi avevo promesso belle strade e bei panorami, beh credo che non rimarrete delusi. Saliremo oggi sulla Kaunertaler Gletscherstraße, la strada che sale sul ghiaccio del Weißseeferner. Lunga 26 km con 29 tornanti, sale dal paesino di Feichten fino si piedi del ghiacciaio con un dislivello di 1500 metri, per arrivare a quota 2750. È una strada che non va da nessuna parte. Infatti termina in quota e data la natura del versante opposto totalmente a strapiombo, non è possibile che possa proseguire. Non sono riuscito a scoprire il perché di questa strada. Nessuno mi ha saputo dare una risposta. Forse una vecchia strada militare della I guerra mondiale, dal momento che proprio qui corre il confine con l’Italia. Ma è una mia concettura alla quale non sono riuscito a trovare un riscontro. Dopo un temporale notturno, mi sveglio con un cielo che non promette nulla di buono, ma ben presto tra le nuvole minacciose fa capolino un timido sole e decido di avviarmi. Dovrò percorrere 40 km per arrivare a prendere la strada e saranno anche questi molto belli. Dopo aver percorso 8 km di autostrada, lascio la strada larga per una stradina interna che si inerpica sulle montagne. Il panorama è fantastico. Con una strada stretta, ma morbida e ben tenuta, si arriva presto a 1500 metri in un valico che domina tutta la valle dell’Inn. Percorro tranquillamente i sali e scendi della strada, attraversando paesini tipici tirolesi. Inizio quindi gli ultimi 26 km che mi porteranno in cima. Il paesaggio è vario e mutevole. La strada taglia decisa i boschi di abeti che quasi si ripiegano su di essa a formare una galleria verde. Improvvisamente poi si apre in una vallata ampia e soleggiata, con i prati verdi e gli animali al pascolo per stringersi quindi in una stretta valle dove il fianco della montagna incombe minaccioso. Si sale piano sulla strada ripida, ma agevole. Tutto invoglia a godersi il percorso, con i colori, i profumi della resina e l’aria fresca e frizzante che ti lava i polmoni. Un muro alto in pietra si staglia davanti a me. È la diga del lago artificiale Gepatschstausee. Interamente fatta in pietra quasi a rispettare l’ambiente in cui si trova. Risalgo i ripidi ma comodi tornanti che fiancheggiano la diga e mi fermo per qualche foto. Riprendo e per un po’ costeggio il lago per poi lasciarlo alle spalle ed inerpicarmi per gli ultimi tornanti. Davanti a me la bocca grigia del ghiaccio si staglia in mezzo ai monti mostrandosi in tutta la sua grandezza. Un laghetto verde con delle mucche che si riposano mi vengono incontro negli ultimi tornanti che mi separano dalla fine della strada. Ed infine il traguardo: 2750 metri, una delle strade più alte d’Europa. Inutile dire che il panorama è uno spettacolo. La valle ampia lascia libera la vista di spaziare. Una cabinovia parte per raggiungere la cima più alta. A 3108 metri lo spettacolo è ancora più incredibile. Proprio in questo punto passa il confine Austria/Italia e un riga in terra permette di stare con i piedi in due stati diversi. Il versante italiano è ripido e scosceso ma si apre sulla Val Venosta fino a vedere le cime dello Stelvio. Sulla destra le montagne svizzere. Fantastico. Un nevaio accoglie i turisti desiderosi di camminare sulla neve. Di fianco il ghiacciaio Weißseeferner. I 12 gradi al sole non mi fanno rimpiangere il caldo dei giorni passati. Dopo qualche foto e un po’ di “contemplazione” riprendo la cabinovia per tornare a prendere la moto. Dopo aver pranzato riprendo la strada del ritorno ed arrivo in hotel giusto in tempo per sentire i primi tuoni di un imminente temporale che durerà tutto il pomeriggio. Termina così una ricca giornata di emozioni.

E ora lascio un po’ di tempo al racconto di Irina. Purtroppo alcune informazioni che avrei dovuto recuperare nel viaggio, non sarà possibile ottenerle data la variazione del viaggio stesso. Quindi Irina, lasciati i suoi genitori in una località sperduta sulle montagne, insieme a diversi altri sfollati e protetti da uomini della resistenza, si unisce con gli altri per combattere i nemici invasori. Non più semplice staffetta, diventa in breve un elemento prezioso nel combattimento e nei sabotaggi. Qui le notizie di fanno incerte e piuttosto vaghe. La si ritrova impegnata nel tentativo di evacuare e proteggere gli ebrei dell’Europa dell’est. Non so come, ma finisce a Varsavia proprio durante uno dei più feroci rastrellamenti dei tedeschi del quartiere ebraico nel 1943. E qui viene arrestata. Per sua fortuna non essendo ebrea, ma cittadina della Croazia, viene mandata nel campo di Stalag VI J di Fichtenhain. I tedeschi non seppero mai di aver preso un importante elemento della resistenza, altrimenti la sua sorte sarebbe stata segnata. Certamente la vita non campo fu molto dura specie per una donna come lei, che non si faceva mettere i piedi in testa. Infatti succede che viene aggredita da un soldato tedesco. Irina per difendersi è costretta ad ucciderlo, volutamente o accidentalmente. Potete capire che un prigioniero che uccide una guardia tedesca in un campo di prigionia, non è proprio in una bella posizione, ma di questo vi parlerò domani.

Per ora vi ringrazio per avermi tenuto compagnia e vi aspetto domani.

Buonanotte 😘

15° Giorno

Oggi è l’ultimo giorno di viaggio. In realtà il penultimo perché ci sarà anche domani, ma sarà solo per il rientro. Ennesimo temporale notturno, la mattina si presenta piuttosto nuvolosa e senza molte speranze di vedere il sole. L’idea è quella di andare al Top Of Tyrol, una piattaforma panoramica a 3210 metri sopra ghiacciaio dello Stubai. Arrivo in autostrada fino ad Innsbruck e da qui prendo la strada che mi porterà alla stazione della funivia a 1500 metri. La strada è larga, agevole, con poche curve leggere. Dopo tutto porta a quella che d’inverno è un importante zona sciistica e quindi deve essere agevole nel periodo invernale. Passa in una valle aperta con boschi, pascoli e piccoli paesini. Una curiosità che ho visto anche ieri. Il bosco ovviamente è una grande risorsa economica e infatti è frequente incrociare camion carichi di legname. Il taglio degli alberi avviene in modo particolare. Gli alberi non vengono abbattuti creando ampie vuote, ma vengono prelevati dal centro della foresta distanziando gli abbattimenti. Come fare però a trasportare il legname. Semplice! Con gli elicotteri. Poco prima che l’albero cada, viene agganciato con un cavo ad un elicottero in attesa sopra. Una volta agganciato, si completa il taglio e l’elicottero lo solleva e lo porta sulla strada ai piedi del bosco dove viene preparato per il trasporto e caricato sui camion. In questo modo si può prelevare il legname solo diradando un po’ il bosco, senza distruggerlo ed evitare che con la caduta degli alberi, si creino danni agli altri alberi ed al sottobosco.

Mentre percorro la strada, le nubi un po’ si aprono, lasciando spazio a qualche raggio di sole, ma delle nubi basse avvolgono le cime delle montagne e ho paura che la salita sarà una delusione. Arrivato agli impianti, prendo la prima delle tre cabinovie che mi porteranno in cima. Per fortuna un po’ di vento sta allontanando le nubi, ma ne sta portando altre poco lontane. È una corsa contro il tempo, ma quando arrivo in cima mi accoglie il sole. 3210 metri!! Con fatica e diverse pause, salgo i tanti gradini che, seguendo il crinale della montagna, portano alla piattaforma panoramica. L’altezza si sente nelle gambe e nel fiato cortissimo, ma finalmente arrivo. Dire che ne è valsa la pena. Lo spettacolo è stupendo. Mentre verso nord avanzano minacciose le nubi e la nebbia, il versante sud è quasi completamente sgombro e la visuale arriva fino al gruppo del Brenta ed alla Marmolada. Le ho indica nelle foto. Ma lo spettacolo non dura molto. La nebbia supera il crinale e comincia a passare sul lato sud, oscurando la visuale. Pazienza. Appagato da quello che ho visto, ridiscendo alla stazione e riprendo le cabinovie che mi porteranno in basso alla moto. Pranzo e come ormai tutti i giorni cadono le prime gocce. Ripercorro a ritroso velocemente i 90 km che mi separano dall’albergo ed arrivo poco prima che si scateni il solito temporale pomeridiano. Pomeridiano, serale e notturno visto che non ha mai smesso. Chiaro che poi sia tutto così verde. E nonostante tutta questa pioggia, questa mattina irrigavano i campi con copiosi getti d’acqua, non si sa mai non bastasse la pioggia.

Questa la giornata di oggi, tutto sommato fortunata, perché sono in riuscito a fare e vedere quello che mi ero prefissato.

Ora, visto che siamo in fondo, vi racconto gli ultimi eventi di Irina. La sua situazione dopo l’uccisione del soldato tedesco è piuttosto critica. Per sua fortuna, grazie anche alla sua conoscenza della lingua tedesca imparata nel campo ed alla sua capacità di persuasione, il comandante decide che non sarà giustiziata, ma la spedisce a Berlino dove verrà processata e sarà quindi un tribunale a decidere le sue sorti. È tutto solo rimandato, penserete voi, ma Irina giunta a Berlino rinuncia ad essere difesa da un avvocato tedesco e decide di difendersi da sola. Beh evidentemente ci sapeva fare sia con le argomentazioni che con la sua parlata tedesca, perché il tribunale la assolve! Non so quanti siano stati i casi di questo tipo, ma sicuramente ha dell’incredibile. Assolta dall’uccisione di un soldato tedesco per legittima difesa. Viene quindi riportata al campo, dove resterà fino a poco prima che arrivino gli alleati a liberarli. Nelle settimane precedenti infatti i tedeschi, ben consapevoli delle sorti della guerra, stavano smobilitando il campo e la confusione era totale. Probabilmente anche i controlli ormai si erano allentati nella ricerca del “si salvi chi può” dei tedeschi. Approfittando di questa situazione, Irina ed altri cinque prigionieri riescono a scappare e a darsi alla fuga. Inizia per il gruppo una vera odissea di sopravvivenza. Affamati, in fuga, con i tedeschi da tutte le parti, senza potersi fidare di nessuno, cercano in tutti i modi di sopravvivere. Si nascondono in una fattoria e durante la notte trovano nascoste in un silos, una vera montagna di forme di formaggi. Impazziti per la scoperta ed affamati, si avventano sul formaggio e cominciano a divorarlo avidamente. Irina cerca di avvisarli di non mangiare molto tutto insieme. Il loro organismo non è abituato e anche se sono affamati devo andarci molto piano. Tutti ascoltano questo consiglio tranne uno che divora il formaggio fino a star male. Morirà per questo errore. Riprese un po’ le forze, comincia una marcia verso il sud della Germania che attraverseranno tutta a piedi in mesi di marcia, procurandosi il cibo come potevano. Racconta di un prete che con una capra al seguito passeggiava lungo una strada. Si appostarono e con il massimo silenzio, la capra sparì. Il gruppetto quella notte mangio carne. Ad un certo punto il gruppo si divise e ognuno andò in direzioni diverse a seconda dei loro luoghi di provenienza. Irina restò sola. E dopo diversi mesi riuscì a ritornare nella sua amata fattoria. Lì ritrovò i suoi genitori che ormai la piangevano morta. Piano piano la sua vita tornò alla normalità. Col tempo i suoi genitori ormai anziani, la lasciarono sola, ma lei mai si dette per vinta. Né mai pensò di trovare un uomo con cui vivere, vivendo in ricordo del suo unico, breve amore italiano. Ma quella che sembrava l’inizio di una tranquilla vecchiaia nella sua fattoria, venne ancora una volta scossa dalla guerra. È il 2 aprile 1991 quando delle milizie accompagnate da amici di Irina, si presentano alla fattoria. Dei furiosi combattimenti si stanno svolgendo a pochi chilometri e bisogna subito scappare e trovare riparo a Zagabria. Riluttante e quasi con la forza Irina viene portata via mentre in lontananza si sentono i colpi della battaglia intorno a Plivice. Verrà ospitata da una famiglia a Zagabria e riuscirà a tornare alla sua casa solo nel 1995. Ma quello che trova sono solo un cumulo di macerie. La sua casa, la sua bella e amata fattoria è stata completamente distrutta. Nelle ultime foto che metto qui, si vede quello che resta della casa e quello che resta di un monumento ai caduti della seconda guerra mondiale, poco distante, completamente crivellato dai colpi delle mitragliatrici. Per Irina è la devastazione totale. Ritornata a Zagabria con la famiglia che l’aveva ospitata, morirà per il dolore dopo pochi mesi. E così finisce la storia di Irina, anche se penso che avrei scoperto altre leggende su di lei nel corso del viaggio.

Spero di non avervi rattristato troppo e come sempre vi ringrazio per avermi tenuto compagnia. Vi aspetto domani per il rientro e per svelarvi un piccolo segreto.

Buonanotte 😘

16° Giorno – Epilogo

Spero abbiate passato tutti un buon ferragosto.

E così siamo arrivati al traguardo, un traguardo che sarebbe dovuto arrivare tra un po’ più di giorni, ma conoscete come ci si è arrivati. La giornata non ha molte cose da raccontare. Partito da Imst per coprire i 550 km che mi separavano da casa, ho passato tutta la giornata in autostrada, tra code, caldo e tanta gente che si spostava. Dopo un temporale all’altezza di Firenzuola, io e la mia Enterprise siamo rientrati in porto.

Si conclude così un viaggio “strano” che spero di non ripetere.

Devo come sempre ringraziare tutti voi che mi avete seguito ed incoraggiato e sostenuto in questi giorni. A voi un grandissimo abbraccio e un grazie di cuore.

Quindi ci rivedremo al prossimo viaggio.

Ah già dimenticavo… devo rivelarvi una cosa. Quasi dimenticavo. Vi devo parlare per un’ultima volta di Irina, la cui storia ci ha accompagnato durante il viaggio e sarebbe stata un po’ più lunga se lo fosse stato anche il viaggio stesso.

Vi confesso che Irina è solo il frutto della mia fantasia. Non è mai esistita. Non questa Irina almeno. Sicuramente ce ne saranno state tante altre di cui nessuno sa nulla, ma non questa. Però non tutto quello che vi ho raccontato è fantasia. Irina, la sua famiglia, la fattoria, i militari nella fattoria e anche il militare innamorato, sono fantasia. Ma tutte le notizie storiche, della seconda guerra mondiale e della guerra del 1991 scatenata dalla Serbia contro la Croazia, sono vere. Vera è la casa distrutta di cui ho messo la foto, ma ovviamente non so di chi sia, come le tante sparse nella zona. Il monumento devastato dai colpi delle mitragliatrici Serbe è vero. Vero è che i militari italiani stanziati in Serbia aiutarono la popolazione, vero è che permisero il ritorno di tante minoranze, vero è che salvarono 30.000 ebrei rifiutandosi di consegnarli alla milizia Ustascia ed agli stessi tedeschi. Vero è il campo di prigionia Stalag VI J di Fichtenhain, vera fu l’uccisione di una guardia tedesca da parte di un prigioniero, vero il processo, l’auto difesa e l’assoluzione dello stesso. Vera la sua fuga dal campo insieme ad altri 5 prigionieri. Vero l’episodio del formaggio e della morte per averne mangiato troppo, vera la capretta sottratta al prete, vero il ritorno a casa a piedi dei prigionieri scappati. Questi episodi mi sono stati raccontati dalla persona che li ha vissuti in prima persona, una persona che ho stimato e a cui ho voluto bene ad ancora è nei miei pensieri, nonostante non ci sia più. Si tratta del mio ex suocero, il babbo di Carla, Mario, che mi ha onorato di poter ascoltare tanti suoi racconti di guerra, a volte non belli o piacevoli da raccontare. A lui idealmente dico grazie per questo privilegio. E grazie a Carla che col consenso della mamma, mi ha permesso di usare alcuni dei suoi racconti per farli vivere ad Irina. Grazie anche per avermi permesso di pubblicare qui alla fine, una cartolina dei prigionieri spedita dal babbo alla sua famiglia (ho coperto per privacy l’indirizzo). Grazie di cuore.

E grazie a voi che pazientemente avete letto i miei racconti. È stato un modo per parlare di eventi tragici il cui ricordo non dovrebbe andar perso, eventi della cui conoscenza sono avido.

E con questo dalla Enterprise è veramente tutto.

Grazie per avermi sopportato, supportato e tenuto compagnia.

A presto.

❤️

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