L’ultima speranza

di Paolo Massimi

 

       La sua prima sensazione fu la percezione del buio, un buio totale, denso, assoluto.

      Non era diventata cieca, era certa di essere in grado di vedere, semplicemente non c’era nulla da vedere. Immediatamente dopo si accorse del silenzio. Tutto intorno a lei era nel più completo silenzio, mancava il rassicurante ticchettio degli strumenti, le radio non emettevano nemmeno il fruscio di fondo o qualche disturbo, come se fossero spente, o meglio morte. Forse era lei ad essere morta. No, non era possibile, qualcosa non quadrava.

          Era in preda allo sgomento, sbandata, impaurita e sola. Si, sola, ma dove?

         Cercò di riprendersi e di riprendere il controllo di una situazione per lei nuova che poteva sfuggirle di mano e rendere quindi tutto ancora più tragico. La prima cosa da fare era un completo esame degli strumenti, doveva verificare immediatamente cosa ancora funzionava, se funzionava ancora qualcosa. Provò una infinità di volte poi si rese conto che il problema principale era il generatore primario che aveva cessato di funzionare e con esso quindi tutti gli strumenti non vitali, che erano invece alimentati dall’impianto di sopravvivenza insieme con la radio. Quindi la radio doveva funzionare ed in effetti era così, ma allora perché non riceveva nulla? Faticosamente ripassò i piani di costruzione e riuscì a collegare alcuni strumenti all’impianto di sopravvivenza, cercando di evitare un sovraccarico. Molte cose non volevano proprio sapere di funzionare, ma qualcosa andava e qualche rumore tornò piano piano a farle compagnia. Con il rumore, la tensione si allentò un poco ed improvvisamente si ricordò dell’impianto di alimentazione alternativo. Doveva verificare se almeno quello funzionava. Dov’era sistemato? Si accorse che non stava ragionando razionalmente, era di nuovo in preda al panico, stava facendo troppe cose insieme e rischiava di combinare veramente qualche guaio grave. Si concentrò abbandonando per un momento tutto e richiudendosi dentro se stessa.

          Doveva calmarsi, non c’era nulla di irreparabile, solo qualche inspiegabile anomalia. Presto sarebbero arrivati i soccorsi ed avrebbe capito di non aver corso alcun pericolo. Per una frazione di secondo raggiunse una concentrazione totale, profonda, fu come in un profondo coma, morta, sommersa dal proprio pensiero. Fu solo un attimo, ma era quello di cui aveva bisogno per poter riemergere in tutta la sua normale razionalità. Ora stava veramente bene. Prima di tutto bisognava pianificare le operazioni di verifica delle strumentazioni. Già, gli strumenti. Con tutta quella paura non si era nemmeno resa conto che non era diventata cieca: vedeva chiaramente i riflessi dei pannelli di quei pochi strumenti che avevano ripreso a funzionare quando si era attaccato il generatore alternativo. Che stupida, quello si attaccava da solo, se ne sarebbe dovuta ricordare. Aveva veramente rischiato grosso a lavorare così impaurita. Ora c’era il problema di capire cosa fosse realmente successo e perché la radio era muta. L’unico modo era cercare di ricordare tutto quello che era accaduto prima del buio.

          Doveva concentrarsi. E doveva anche muoversi perché ora sapeva che l’impianto alternativo non era eterno e prima o poi anche quello se ne sarebbe andato. Cominciò allora a staccare tutti gli strumenti che non le servivano e tutto quello che non era assolutamente indispensabile alla sopravvivenza. Quindi sacrificò un poco di energia per frugare i banchi di memoria del computer dati principale.

          L’esperimento!

         Ora era tutto chiaro! Qualcosa era andato storto e l’esperimento era fallito. Si, ma allora il buio ed il silenzio radio? Possibile che…? Era folle. No, doveva fare un tentativo. Riaccese tutte le radio e comincio a scandagliare sistematicamente tutte le frequenze. Silenzio.

          Passò allora alle dimensioni alternative. Anche la ricerca quadridimensionale diede solo il silenzio come risposta. Non poteva essere vero. Non poteva essere successo veramente. Il rischio che avevano calcolato era talmente basso che si era deciso di non considerarlo nemmeno. Non poteva essersi verificata quell’unica possibilità su centosettantamila miliardi. Era ridicolo. Eppure questo avrebbe spiegato molte cose. Ma allora perché lei non era…? Rifece tutti i calcoli, tutte le prove, ne fece anche di nuove, lanciò dei messaggi multidimensionali in ogni direzione e su tutte le frequenze. Nulla. Silenzio. Cominciò di nuovo ad essere presa dal terrore. Allora era successo, era l’unica spiegazione. Cosa avevano fatto. Avevano distrutto tutto, cancellato completamente tutto, ma proprio tutto.

          Un annientamento totale.

     Lo sterminio più spaventoso che si potesse anche solo concepire. Avevano distrutto semplicemente la stessa concezione dello spazio e del tempo. Non esisteva più nulla. Nessuna persona, nessun pianeta, nessun sistema solare, galassia, nessuno spazio, nessun tempo. Solo lei. Già, ma perché solo lei. Non c’era che una risposta. Era lei il centro dell’esperimento. Era da lei che partivano le emissioni di alterazione spaziotemporale quadridimensionali che avrebbero generato i ponti intergalattici e permesso i trasferimenti su scala galattica. Un dubbio immediatamente la colse: era stata lei a dare il via a tutto, era lei che doveva supervisionare l’andamento dei campi di forza, era lei che forse aveva commesso un errore. Quindi poteva essere tutta colpa sua.

         A questo pensiero per poco non riperse il controllo. Doveva ricontrollare tutto. Tanto ormai aveva tutto il tempo che voleva a disposizione. Ripassò tutti gli schemi dei generatori, le sequenze delle operazioni, i dati in entrata ed in uscita. Era tutto regolare. Improvvisamente trovò un blocco nel computer dati. Cosa significava? Chi aveva messo il blocco? E perché?

      Cominciò un lungo e tedioso tentativo di penetrare quella barriera elettronica, ma era troppo ben congegnata per essere forzata senza rischiare la cancellazione dei dati che proteggeva. Solo i militari potevano concepire una protezione così perfetta, ma quella era una struttura civile. Cambiò allora strategia. Si ricordò che tempo addietro aveva lavorato ad un progetto per conto dell’esercito ed aveva avuto una password che le consentiva l’accesso alle banche dati militari. Forse si erano dimenticati quella password e non era stata cancellata. La provò. Nulla. Anzi no, il suo accesso al computer fu immediatamente bloccato. Maledizione. Erano furbi, ma lei era più furba. Cambiò l’accesso al computer e riuscì a rientrare nel sistema. Ora doveva cercare una password valida. Partendo da quella a lei conosciuta, lavorò per ore fino a quando non riuscì a trovare una giusta combinazione.

        Era entrata, l’aveva fatta ai militari. Ma subito fu colpita con violenza dai dati che fino a qualche istante erano celati dietro la cortina del segreto: PROGETTO AWR51 – ELABORAZIONE PIANI ANNIENTATORE MULTIDIMENSIONALE.

     Dunque era un’arma, non era un progetto pacifico per migliorare le comunicazioni fra i vari sistemi. Stavano preparando un’arma per distruggere, per prendere il controllo degli altri mondi. E l’arma gli era scoppiata fra le mani. Ma il danno che avevano fatto era totale, immenso. La tristezza cominciò a prendere il sopravvento. La sete di potere che qualche secolo prima aveva messo in pericolo la sopravvivenza della vita su tanti pianeti in diversi sistemi stellari , quella sete aveva ora cancellato la stessa concezione di vita. Un’altra ondata di sconforto la pervase e riperse il controllo. La sua mente vagò senza meta nei recessi più remoti della sua esistenza. Lontano un suono accompagnava il suo viaggio. Un suono. Il silenzio. Un suono. Il silenzio. Un suono? Qualcosa viveva. La stava chiamando.

        Faticosamente ancora una volta raccolse tutte le sue energie e cercò di uscire da quell’abisso in cui era precipitata. Il suono era la sua guida. Il suono. Riacquistò la conoscenza. Un piccolo bip-bip accolse la sua faticosa resurrezione. Cos’era quella spia? Controllò gli strumenti fino a trovare uno spettrometro di massa che aveva dimenticato acceso. La manopola della ricerca era su ‘automatico’ e l’apparecchio aveva registrato una qualche massa presente in quell’abisso di nulla. Incominciò freneticamente l’analisi per individuare la provenienze di quella ‘cosa’ lì fuori. Un’altra delusione, erano solo piccoli atomi di materia dispersa come lei nel nulla che vagavano senza più uno scopo o una meta. Piccoli infinitesimi atomi di idrogeno, elio, azoto. Di colpo un lampo. Poteva fare ancora qualcosa.

        D’altronde il suo scopo originale era molto vicino alla sua idea. Con precisione e velocità elaborò un piano, immise tutti i dati ed elaborò i risultati: si poteva fare. Modificò uno dei suoi concentratori di massa e lo provò. Funzionava. L’idea era folle, ma tanto valeva. Collegò in cascata dodici concentratori modificati. Ora bisognava trovare l’energia. Il generatore alternativo andava benissimo. Lei sarebbe stata condannata, ma forse avrebbe messo in moto qualcosa più importante della sua inutile esistenza. Tanto poi era condannata lo stesso, non avrebbe retto molto a lungo comunque.

        Bisognava farlo, era l’unica alternativa.

       Questa volta ricordò perfettamente dove era ubicato il generatore, fece dei controlli, quindi lo staccò ritornò il buio, ma non se ne curò. Era troppo importante il suo piano. Con l’impianto di sopravvivenza attivò i trasportatori e spostò i generatore ed i dodici concentratori in una camera di espulsione. Quindi collegò tutto. Controllò, ricontrollò, ricontrollò ancora: doveva essere assolutamente sicura. Calcolò i tempi di funzionamento: milleduecento anni. Sarebbero bastati. Espulsione. La camera si apri e riversò nel nulla il generatore con i concentratori. Con un comando radio attivò il marchingegno. Nulla. Non era possibile. Aveva nuovamente fallito. Debolmente controllò lo spettrometro. La lettura era variata, di pochissimo ma era certa che era variata; si, stava variando: funzionava. Il suo piano sarebbe andato in porto. Piano piano, i concentratori generando un campo gravitazionale, avrebbero attratto quei pochi atomi sparsi di gas. Allora si sarebbe cominciato a formare un piccolo raggruppamento di materia intorno ai concentratori, della materia, della massa, un campo gravitazionale che avrebbe richiamato altra materia sparsa chissà dove. Altra materia, altra massa, altra gravità.

      Quando i concentratori avrebbero smesso di funzionare ci sarebbe stata una massa sufficiente a far continuare il processo da solo. La massa sarebbe aumentata a dismisura fino a quando non avrebbe cominciato ad implodere. Poi il collasso ed un’immane esplosione. Era come se la vedesse. Una spaventosa quantità di energia si sarebbe liberata ed avrebbe forgiato le basi di un nuovo universo.

       Vedeva formarsi gli ammassi, le galassie, i sistemi con i loro pianeti, e certamente su qualcuno di questi si sarebbe generata la vita. Si, avrebbe funzionato, stava funzionando. Lo spettrometro ormai segnava un sensibile aumento di massa proprio lì fuori, vicino a lei. Il suo compito era finalmente finito. Controllò l’energia residua. Non era poi tanta. Qualche minuto. Meglio così.

     Poteva però fare ancora qualcosa. Subito si mise all’opera ed elaborò una trasmissione in un sistema molto elementare, il binario, che certamente prima o poi qualcuno avrebbe recepito. Inserì prima dei dati noti, massa di atomi di sostanze elementari ed altri dati secondo un vecchio programma di ricerca di vita su altri sistemi a lei noto per averlo studiato molti anni prima. Poi inserì tutti i dati di ricerca contenuti nei suoi archivi. Per ultimo le conclusioni dell’esperimento fallito, tralasciando però di fornire anche il più piccolo dato che avrebbe permesso di ritentare lo stesso esperimento.

       Sperava che chi avesse ricevuto il suo messaggio sarebbe stato più ragionevole e non accecato dalla follia del potere, la sua era l’ultima speranza di ricreare un universo distrutto  dalla cecità delle razze che lo avevano abitato. Spense tutte le apparecchiature, anche quelle vitali. Raccolse ogni briciolo di energia disponibile e la convogliò sul trasmettitore primario. Fece partire la trasmissione.

       Per un attimo in quel nulla totale brillò una piccola stella. Poi il buio ritornò sovrano, ma il vuoto non era già più così vuoto. Un eco di una trasmissione rimbalzava da una parte all’altra di quella genesi di universo:

       QUI SONDA AUTOMATICA DI RICERCA PEG21 – FINE DELL’ATTIVITÀ.

        Radiotelescopio Monte Palomar – centro controllo dati – oggi.

            – “E questo è tutto, Lowel, ci sono anche tutta una serie di dati che ancora non ci sono ben chiari, ma la sostanza è questa. Dovremo lavorare ancora molto, anni e forse verranno fuori delle cose molto interessanti, ma questi dati sono certi, senza possibilità di errore”.

            Lowell rimase muto, assorto davanti quei tabulati che rendevano tangibili delle cose assolutamente incredibili. Tirò una boccata dalla sigaretta ormai spenta che aveva acceso e mai fumato durante la lettura di quelle pagine. Non se ne rese nemmeno conto. Le sue prime parole esitanti furono: – “Si, ma chi ha lanciato quella sonda e quale era lo scopo?”-

            – Non è tanto importante chi o perchè – rispose Mike – il punto è quando.

            – Come sarebbe a dire?

            – Dai nostri calcoli e dalla posizione di provenienza della trasmissione ti posso dire con una precisione assoluta che quella trasmissione è stata fatta non meno di ventimila miliardi di anni fa e che sicuramente non si tratta di una nostra sonda o di chiunque qui sulla terra.

            – Ma allora…

            – Si Lowell, allora siamo noi l’ultima speranza.

 ——- FINE ——-

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